Come noto, il 18 giugno 2020 le autorità competenti svizzere e italiane si sono amichevolmente accordate per mantenere in vigore le condizioni di tassazione stipulate nell’accordo del 3 ottobre 1974 tra la Svizzera e l’Italia relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine (accordo frontalieri), sino a quando l’ultimo dei due Stati avrà revocato le misure sanitarie che limitano o sconsigliano la normale circolazione delle persone fisiche, a causa della diffusione della COVID-19. Le autorità hanno accettato, per questo periodo transitorio, di interpretare in maniera meno restrittiva la definizione di lavoratore frontaliere, permettendo quindi al lavoratore di non far ritorno nel Paese di domicilio, rispettivamente di lavorare in regime di home office.
Questa negoziazione si è resa necessaria, poiché l’accordo sui frontalieri non è applicabile a lavoratori residenti in Italia, che esercitano la propria attività per datori di lavoro svizzeri, in regime di home office, rispettivamente per lavoratori che non rientrano regolarmente nel loro Paese di domicilio. Da notare che la problematica è nota anche per lavoratori frontalieri dislocati in altri Paesi, ad esempio per i lavoratori con domicilio in Francia, Germania e Austria, che esercitano attività lucrativa dipendente nel nostro Paese.
Le raccomandazioni fiscali internazionali prevedono che un lavoratore dipendente sia tassato nel luogo in cui viene svolta la sua attività; questo implica che se la modifica amichevole dell’accordo sui frontalieri non fosse stata sottoscritta, i lavoratori frontalieri che hanno potuto svolgere, rispettivamente che attualmente svolgono la loro attività dal loro Paese di domicilio (residenza), rispettivamente le persone che pur non avendo lavorato hanno percepito un salario (o eventualmente l’indennità per lavoro ridotto), avrebbero dovuto dichiarare questi redditi all’autorità fiscale italiana. Per contro, i datori di lavoro non avrebbero dovuto prelevare l’imposta alla fonte, con la conseguenza che l’ente pubblico sarebbe stato privato di ingenti risorse. Per citare solo alcune possibili conseguenze di una mancata modifica dell’accordo sui frontalieri.
La COVID-19 potrebbe comportare, in taluni casi, anche altre conseguenze, anch’esse estremamente rilevanti, ad esempio la costituzione di una stabile organizzazione in Italia per il datore di lavoro elvetico, rispettivamente l’obbligo per il datore di lavoro elvetico di versare contribuiti previdenziali nella vicina penisola.
Le esperienze fatte durante la pandemia, spesso tristi e costose, hanno tuttavia portato anche alcuni notevoli vantaggi. Per citarne solo alcuni, il traffico è sensibilmente diminuito, l’ambiente ha quindi beneficiato di una diminuzione dell’inquinamento atmosferico; molti lavoratori frontalieri si sono ritrovati a vivere una positiva nuova esperienza e ad avere più tempo libero da dedicare ai propri interessi e famiglia. Vi è quindi da prevedere che una parte di questi lavoratori opti, in futuro, per mantenere i benefici acquisiti in periodo pandemico.
Purtroppo questi vantaggi, dal punto di vista fiscale, potrebbero avere un costo considerevole, sia per il lavoratore frontaliere sia per l’ente pubblico ed anche per i datori di lavoro, a meno che l’accordo sui frontalieri non venga adeguatamente modificato. Pare quindi di meridiana evidenza che i cambiamenti, paraffati nel dicembre 2015 dai negoziatori dei due Paesi, dovranno essere adattati alle nuove abitudini, ancor prima di entrare in vigore. In particolare, occorrerà decidere se obbligare il lavoratore a ritornare quotidianamente nel proprio Stato di residenza. Rispettivamente occorrerà implementare un sistema per accertare in maniera efficace ed economica la parte di attività eventualmente svolta dal Paese di residenza, descrivendone le conseguenze.
Questo cambiamento, dall’apparenza irrilevante e semplice, comporta la necessità di compiere molteplici riflessioni e di ampliare il discorso della tassazione dei frontalieri ad altri ambiti e crediamo rappresenti la nuova sfida che le autorità dei due Paesi dovranno prossimamente affrontare, poiché avranno conseguenze socioeconomiche considerevoli per le imprese attive nel nostro territorio e per l’ente pubblico. Insomma, ciò che è nato per necessità potrebbe generare una virtù.
Fonte: Corriere del Ticino – 18 luglio 2020