Il mio programma politico

Mi sono appassionata alla politica attiva fin dall’adolescenza e da allora non ho mai smesso di impegnarmi per il bene comune.

Nel 1999 sono stata la prima Presidente donna di GLRT; se ho scelto di candidarmi alle elezioni cantonali 2023 è perché continuo a riconoscermi nel programma del PLRT e perché credo che per me sia il momento giusto per farlo.

«Io ci sono!» per me non è solo uno slogan elettorale, ma un modo di affrontare le relazioni per le persone. Voglio esserci per tutti i ticinesi: per ascoltare, riflettere, cercare di capire i problemi e tentare di risolverli. Non mi presento davanti all’elettorato offrendo ricette magiche, ma con la promessa di difendere con tutto il mio impegno il bene comune, nell’aula del Parlamento.

A 51 anni, sento di essere una persona completa, pronta a restituire alla collettività l’esperienza che ho maturato come donna e come imprenditrice. Inoltre, grazie all’impegno professionale e alla fortuna, posso pensare serenamente al futuro mio e di mio figlio; lo scrivo affinché sia chiarissimo che la politica – per me – non sarà mai una questione d’interesse. Non sono a caccia di un seggio in Gran Consiglio perché voglio ottenere mandati oppure nuovi clienti per la mia azienda.

Il nostro sistema di milizia chiede anche alle persone attive professionalmente di mettersi a disposizione e di partecipare attivamente. Sono convinta che a questo Ticino servano più tecnici in politica, oggi più che mai, per lavorare insieme alla ricerca di soluzioni, innovative e fondate sull’esperienza, sui temi cruciali per il futuro del Cantone.

Se mi sono candidata è per senso di responsabilità e per portare avanti le battaglie nelle quali credo. Voglio contribuire a rendere la nostra società ancora più attenta ai bisogni delle cittadine e dei cittadini benestanti e di quelli meno abbienti, di chi è sano e di chi è malato, di giovani e di pensionati. Permettetemi di presentarvi brevemente le mie idee per riuscire a farlo.

 

Credo nell’uguaglianza delle cittadine e dei cittadini di fronte alla legge

Uno Stato democratico deve trattare ogni cittadino allo stesso modo. Sembra una banalità, e infatti nessun politico oserebbe sostenere il contrario.
Fra la teoria e la pratica, però, c’è spesso un abisso. Il mio lavoro quotidiano me lo dimostra: nel settore della giustizia gli elevatissimi costi necessari per far valere efficacemente i propri diritti sono di fatto un forte deterrente per molte persone e aziende.
Molto spesso, capita perciò che chi è meno istruito, o meno abbiente, debba rinunciare, per non correre il rischio di indebitarsi oltre le sue possibilità.
Questa situazione è inammissibile in uno Stato di diritto come la Svizzera: la politica deve prenderne consapevolezza e agire con decisione per correggerla.

Credo che i pazienti e le loro famiglie abbiano diritto a una comunicazione trasparente, comprensibile e umana

La nostra vita è fragile ed esposta alla sofferenza, come abbiamo riscoperto dolorosamente nei due anni di pandemia.
Ognuno di noi, nel corso della sua esistenza, si troverà nella condizione di paziente, o sarà familiare di un paziente.
Sono circostanze in cui sperimentiamo la massima vulnerabilità, e spesso anche un senso di impotenza: perché la medicina moderna ci offre prestazioni formidabili, ma corre spesso il rischio di ridurci da soggetti a oggetti.
Il personale sanitario è regolarmente sottoposto a condizioni di lavoro stressanti; pur riconoscendolo, ci aspettiamo che, quando necessario, le comunicazioni che ci vengono date sulla salute nostra o dei nostri cari siano esaurienti, comprensibili, tempestive e – soprattutto – umane.
Anche in questo ambito, occorre che la politica dimostri più sensibilità, soprattutto verso le persone che sono meno abili nel difendere i propri diritti.

Credo che le nostre valli abbiamo un futuro radioso davanti, se sapremo costruirlo

Le mie radici sono nelle Tre Valli e nel Bellinzonese, e la mia vita adulta si è radicata nel Sottoceneri. Sono stata consigliera comunale a Preonzo, municipale a Vico Morcote, membro dell’Ufficio presidenziale del PLR a Lugano, e sono attiva in diverse associazioni e gruppi di interesse sul territorio.
Il mio ritratto è quello di una «ticinese completa», che mentre lavora per costruire il futuro ha ben presente l’eredità delle passate generazioni. Conosco benissimo le nostre valli e penso che non vadano ridotte a una specie di museo a cielo aperto, un parco giochi nel quale ritemprarci dalle brutture di molti angoli dei nostri fondovalle.
Sono un territorio vivo, che deve rimanere tale. Il nostro dovere è di creare le condizioni affinché ciò avvenga, stimolando il dinamismo economico e mostrando al mondo il patrimonio eccezionale che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri antenati.

Credo che il Ticino possa offrire ai turisti qualcosa di più dell’«Italia in Svizzera»

Da 150 anni siamo abituati a presentarci ai turisti come il cuneo di Italia che sporge dal ventre della Svizzera: questo ci è stato inculcato, e nessuno ha mai pensato di metterlo in discussione – finché le cose andavano bene. Negli ultimi vent’anni, però, il mondo si è globalizzato e oggi possiamo volare ovunque in poche ore.
Le regioni che confinano con la nostra, se le osserviamo con onestà, hanno inoltre lavorato enormemente per abbellirsi e arricchirsi, oltre a contare su prezzi che saranno sempre vantaggiosi rispetto ai nostri. Questo non significa che dobbiamo sentirci perduti: è un invito a cambiare prospettiva. A un mondo disperatamente a caccia di autenticità, possiamo offrire un patrimonio immateriale di usi, tradizioni e curiosità che aspetta solo di essere riscoperto e valorizzato.
Proprio con questo spirito, a inizio 2023 ho lanciato insieme a un gruppo di volenterosi una petizione che punta a fare iscrivere nel patrimonio immateriale UNESCO le sagre di San Provino ad Agno e di San Martino a Mendrisio.
Sono convinta che un atteggiamento costruttivo ci renderà vincenti. Se una pizza e un hamburger possiamo ordinarli a Beirut come a Lisbona, un bicchiere di vero ratafià assaporato accanto all’alambicco è un’esperienza che solo noi abbiamo. Dobbiamo solo iniziare a crederci sul serio.

Credo che il primo passo per aiutare i giovani consista nell’ascoltarli (per davvero)

Come genitori desideriamo ogni bene per i nostri figli e per i loro coetanei: per quelle che la politica ama chiamare «le nuove generazioni». Mentre diciamo di volere il meglio per loro, nella realtà li stiamo però privando dell’unica cosa che conta per loro: la libertà di essere loro stessi, commettendo gli errori che alla loro età sono inevitabili.
Dobbiamo reimparare ad assumere un ruolo da comprimari, nella difficile recita di cui sono loro gli unici protagonisti. Per farlo, la mia ricetta è semplice: agire meno, e ricominciare ad ascoltarli sul serio.
L’attenzione è la vera moneta di scambio dei rapporti umani, come hanno capito benissimo le piattaforme social: tutti vogliamo essere ascoltati, seguiti, accompagnati – tutti vogliamo essere visti.
Come madre di un ragazzo adolescente so perfettamente quanto sia difficile, perfino all’interno della famiglia, avere un vero scambio di vedute con i giovani.
Come politici, però, abbiamo il dovere di trovare i canali giusti per tornare a dare attenzione alle figlie e ai figli del nostro Paese – e se scoprissimo che questi canali non esistono, il nostro dovere sarà di inventarli.

 

Credo che il PLRT debba rimanere il “cane da guardia” della burocrazia

Una costante storica di questo Cantone è l’espansione continua della burocrazia. La proliferazione delle leggi è un peso che trascina verso il basso la nostra economia (e il nostro umore) a suon di moduli, editti, spese – e ovviamente sanzioni, per chi non ha rispettato anche l’ultima delle noterelle a piè di pagina.
Nella storia, il PLRT è la forza politica che si è sempre assunta la responsabilità di fare da «cane da guardia» verso questa dinamica, per impedire che la frenesia regolatrice prenda il sopravvento.
Oggi siamo alle prese con nuove sensibilità e nuovi dogmi, e ancora una volta per chi condivide i valori liberali è tempo di profilarsi chiaramente – per snellire, semplificare, velocizzare e impedire l’entrata in vigore di regole assurde, e evitare così che a soffrire siano l’economia e l’imprenditorialità

 

Credo che la fiscalità vada riformata, iniziando da successioni e capitali previdenziali

La fiscalità è il campo principale della mia attività professionale, ed è da sempre un tema molto «caldo» per la politica del nostro Cantone. Discutendo con contribuenti prima (ho lavorato per 16 anni alla Divisione delle contribuzioni) e con i miei clienti oggi, vedo affiorare regolarmente gli stessi problemi, e sento di avere maturato una visione chiara di ciò che occorre fare per aggiornate il nostro sistema tributario.
Se nella fiscalità delle imprese sono stati fatti chiari passi avanti, nel confronto svizzero, ben diversa è la situazione per le persone fisiche. In questo ambito il Ticino è infatti fermo al 1976, anno di introduzione della «nuova» Legge tributaria.
Le regole sono praticamente le stesse da quasi 50 anni, con qualche eccezione solo nel settore delle deduzioni sociali. Il risultato è che oggi i nostri contribuenti vivono su due pianeti totalmente diversi: chi ha redditi e patrimoni modesti gode di un carico fiscale molto attenuato, nel confronto intercantonale.
Chi ha un reddito elevato e un patrimonio consistente, invece, subisce un prelievo molto superiore alla media svizzera. In sostanza, il nostro sistema fiscale è dunque improntato a una estrema redistribuzione sociale della ricchezza. Indipendentemente da ciò che possiamo pensare di questo stato di cose (anche se io resto convinta che una fiscalità concorrenziale sia indispensabile anche per finanziare lo Stato sociale), dal mio punto di vista si impongono almeno due adattamenti urgenti, per riguadagnare una certa attrattività del nostro Cantone. Nel dettaglio: le imposte di successione e donazione vanno adattate con urgenza alle nuove tipologie familiari, per evitare distorsioni e penalizzazioni.
Le aliquote delle imposte speciali sui prelievi di capitale della cassa pensione devono essere ridotte; quelle attualmente in vigore in Ticino, infatti, inducono molti pensionati a spostarsi in altri Cantoni per prelevare i loro capitali del secondo pilastro: una perdita secca per lo Stato, che nel quadro economico attuale non possiamo davvero permetterci di accettare senza reagire.

 

Credo che il pensiero liberale abbia gli strumenti migliori per aiutare ogni donna

Il progresso della condizione femminile è una conquista che non ha colore politico, ma dobbiamo riconoscere alle democrazie liberali di essere il modello di riferimento per tutto il pianeta.
Per il PLRT è quindi tempo di impegnarsi di più a diffondere una visione del femminismo strutturata attorno al primato dell’individuo e all’obiettivo di rendere ognuna di noi padrona del suo destino – senza vittimismo, senza ostilità verso il mondo maschile e senza rancore per fatti che appartengono al passato.
Un punto sul quale penso sia cruciale lavorare meglio è l’educazione finanziaria delle giovani: sono infatti ancora troppo numerose quelle che rinunciano a informarsi su finanza, risparmio, investimenti – e spesso trascurano perfino la loro situazione pensionistica.
Il club Business Professional Women, di cui faccio parte da vent’anni, aiuta ogni anno decine di studentesse a scoprire gli strumenti per costruirsi una vita finanziariamente indipendente.
È tempo che anche la politica fissi questo tema fra le sue priorità.

 

Credo che la nostra scuola dell’obbligo debba riorientarsi – verso la Svizzera tedesca

Ogni tanto ripenso alle ragioni che mi hanno spinta a frequentare l’Università in lingua francese, e sulle conseguenze di quella scelta per la mia carriera.
Non dico certo di essere pentita, ma mi sono più volte resa conto del prezzo molto elevato che ho dovuto pagare, in età adulta, per conquistare un livello adeguato di conoscenza della lingua tedesca.
È davvero paradossale: chiedete a chiunque quale sia la lingua più utile per un ticinese, sul mercato del lavoro – salvo qualche internazionalista che menzionerà l’inglese (o il cinese, o l’arabo!), la stragrande maggioranza delle risposte sarà che ci serve, per prima cosa, il tedesco.
È tempo che la nostra scuola pubblica si adatti a ciò che dice il buon senso: dobbiamo dare la priorità alla lingua che appartiene alla maggioranza dei nostri compatrioti – ai quali, tra l’altro, AlpTransit ci ha ulteriormente avvicinati geograficamente.
Via libera quindi all’insegnamento del tedesco fin dalla prima media, e magari in futuro osiamo lanciarci in qualche esperimento più audace – laboratori di conversazione in Schwyzerdütsch, oppure un’introduzione giocosa all’inglese fin dalle elementari. 

 

Credo che la qualità del costruito sia un elemento decisivo dello sviluppo territoriale

Il territorio è un bene che appartiene a tutti: è il patrimonio comune che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri antenati e che trasmetteremo ai nostri discendenti. Gestirlo responsabilmente è uno dei doveri morali più alti che abbiamo, come società.
È quindi necessario coinvolgere quante più persone possibile, nella discussione su come pianificare bene e, se possibile, su come emendare gli errori del passato. Con questo spirito sono attiva da anni, con grande entusiasmo, in seno all’istituto i2a: la nostra missione è di promuovere eventi e riflessioni attorno alla qualità del costruire in Ticino.
Questa esperienza mi ha aperto gli occhi sul fatto che, purtroppo, il dibattito politico su questi temi è latitante. Pur vantando grandi maestri nell’architettura del Novecento e disponendo oggi di un’Accademia, il Ticino è sorprendentemente disattento al suo sviluppo territoriale – è quindi venuto il tempo di rimettere il tema al centro dell’agenda, prima che sia davvero troppo tardi.

 

Credo che possiamo sostenere meglio la cultura, l’arte e i giovani creativi

Da ragazza volevo fare l’archeologo, poi l’architetto, adesso forse farei la fotografa – la scoperta e la creazione, insomma, sono territori dello spirito che mi affascinano da sempre, e non mi stanco mai di incontrare persone che ne hanno fatto la loro vita professionale.
In Ticino abbiamo l’imbarazzo della scelta, anzitutto per quanto riguarda le offerte culturali di massimo livello: da ciò che va in scena al LAC al Locarno film festival, in cui molti anni fa io stessa ho lavorato come hostess.
Il nostro Cantone però è anche attraversato da una miriade di fenomeni culturali di nicchia, in cui vengono esplorate tendenze di ultima generazione o riscoperti mestieri d’arte che credevamo perduti. Dalle attività nel «metaverso» fino al Centro internazionale di scultura di Peccia, il nostro territorio è come un alveare che freme di passione per l’invenzione culturale; lo vedo benissimo nel mio ruolo all’interno dell’associazione Amici del Bigorio.
Come politici, dobbiamo prima di tutto impegnarci per conoscere meglio questi ambienti, e poi pensare a come farli prosperare – a vantaggio della vitalità del territorio, ma anche per renderci ancora più magnetici agli occhi dei turisti. 

 

Credo che difendere le pari opportunità significhi occuparsi anche degli uomini

La nostra società sta lavorando molto bene per dare fiducia alle ragazze: ripetiamo loro a ogni occasione che «il futuro è donna», e che apparterrà a loro. Non siamo altrettanto bravi, invece, nel parlare ai giovani maschi.
Come madre di un adolescente, penso spesso a come controbilanciare i messaggi di cui è bombardato. Fin dall’ingresso alla scuola dell’infanzia, i nostri figli hanno infatti la percezione che il mondo li consideri «un problema» – sono troppo agitati, troppo distratti, troppo aggressivi, troppo privilegiati dal «patriarcato», troppo… maschi.
Il risultato di questo approccio è che, silenziosamente, il loro profitto scolastico è sceso ben al di sotto di quello delle coetanee, sono i più colpiti dalle prescrizioni di psicofarmaci e, purtroppo, si suicidano tre volte più spesso.
Nel contempo, continuano a svolgere i lavori più fisicamente faticosi e pericolosi, che molti di loro pagano con la salute o con la vita – senza che la società esprima la minima gratitudine per questo tangibilissimo apporto al nostro benessere.
Le associazioni e i privati che gestiscono il tempo libero organizzato dei nostri giovani hanno un potenziale enorme per migliorare la situazione. In parallelo, ci serve però anche il coraggio politico di impostare in modo diverso il discorso sulle pari opportunità.
Dobbiamo tenere conto anche del benessere dei maschi – non trattandoli come un pericolo pubblico o un bersaglio polemico, ma come co-protagonisti essenziali per la vita delle nostre comunità.

 

Credo che dobbiamo costruire un Cantone accogliente per tutte le generazioni

L’invecchiamento della popolazione è una realtà in Svizzera e in Ticino, dove la piramide demografica è ancora più sbilanciata che nel resto del Paese. Questa tendenza è inevitabile, ma non è una condanna.
La politica dovrà sentirsi spronata a lavorare nell’interesse di tutti, anzitutto per salvaguardare il patto fra generazioni, per esempio nel delicatissimo settore della previdenza. Avvicinare giovani e anziani, però, non è solo una questione finanziaria: bisogna che l’incontro avvenga nel mondo reale.
Questo significa lavorare bene sulla pianificazione del territorio, considerando anche la nuova struttura della popolazione. Non si tratterà di costruire un Cantone “a misura di anziano”, ma di dare vita a un Paese intergenerazionale – in cui le persone di ogni età si sentano accolte e vedano soddisfatti i loro bisogni primari.
Fare buona urbanistica e buona architettura, tra l’altro, significa anche prevenire i problemi e ridurre la spesa pubblica necessaria a risolverli a posteriori.
I buoni esempi non mancano, a livello svizzero e internazionale: la nostra politica ora ha il dovere di imitarli.