Per riprendere una metafora celebre, uno spettro si aggira per il Ticino in vista della votazione cantonale del 9 giugno e si muove al di fuori dei radar dei partiti. È lo spettro dei «no»; alla riforma fiscale, perché è «un regalo ai ricchi», alle misure di compensazione IPCT, perché sono «un regalo ai dipendenti dello Stato» e all’acquisto dello stabile ex EFG, perché «è un regalo per la lobby della giustizia». Come ha scritto bene il vicedirettore Gianni Righinetti nel suo editoriale, i risultati che scaturiranno dalle urne saranno molto utili a capire l’aria che tira in Ticino e indicare la rotta politica dei prossimi anni. La mia impressione è che la politica di questo Cantone stia prendendo sottogamba il pericolo costituito dalla diffusione di questa «logica del regalo». Un virus politico che porta molte persone a immaginare – dietro le quinte di ogni progetto dello Stato – l’esistenza di macchinazioni clientelari, che puntano solo a fare la fortuna di qualche minoranza privilegiata, a spese del bene collettivo. Una specie di applicazione alla politica delle regole dei giochi «a somma zero», in cui la vittoria di un partecipante implica la sconfitta di tutti gli altri. Altrimenti detto, che non esiste, in democrazia, un interesse della maggioranza che non sia dannoso per la minoranza, ovvero che la maggioranza sia una prepotenza. La democrazia, specie quella diretta svizzera, però, non funziona così. Anche il nostro sistema di (auto)governo è in parte una questione di fiducia reciproca. Come elettrici ed elettori, continuiamo a partecipare a questo gioco perché siamo convinti che le sue regole abbiano senso e funzionino – e, quindi, per esempio, che sia un bene dare al popolo l’ultima parola. Qualcuno potrebbe insinuare che questo atteggiamento sia un segno di ingenuità e costituisca un assegno in bianco verso i «poteri forti» (ma quali sarebbero, questi «poteri forti» di cui nessuno fa mai nomi e cognomi?). Se anche fosse vero, questa dose di ingenuità faremmo bene a tenercela stretta, perché l’alternativa è cedere alla disillusione e al cinismo – e la democrazia diretta svizzera non può sopravvivere a un panorama nel quale i suoi protagonisti, che siamo tutti noi, si convincono di essere burattini di un gioco truccato. Per questo motivo, come politici eletti, sarebbe bene che scegliessimo sempre con cura le parole che usiamo e non alimentassimo i peggiori istinti che abitano l’animo di ogni essere umano. Chi semina il vento della sfiducia e del cinismo oggi, infatti, non potrà che raccogliere tempesta domani.
Il mio auspicio personale, in vista della votazione del 9 giugno, è che l’elettorato dimostri razionalità, depositando nelle urne tre «sì». Le soluzioni che vengono proposte con convinzione da Governo e Parlamento potranno anche non essere perfette, ma non sono «regali» a nessuna casta ed esprimono – in tre forme diverse – lo stesso messaggio: che il Ticino vuole andare avanti e costruire prosperità per i suoi abitanti del futuro.
Fonte: Corriere del Ticino – 22 maggio 2024