Il bell’articolo di Damiano Petralli sul Corriere del Ticino di ieri mi induce a una riflessione sull’iniziativa cosiddetta “contro la dispersione degli insediamenti” sulla quale saremo chiamati a votare nel prossimo fine settimana. Petralli, cosa rara di questi tempi, non si limita a dire perché suggerisce di votare SI ma elenca una serie di argomenti fattuali che, a suo dire, spiegano le dinamiche di urbanizzazione in corso. Il pregio è che lo fa ricordandoci tutte le complessità del tema: economiche, culturali, sociali, famigliari, istituzionali e normative che siano. Ad esempio, per ricordare che il fenomeno della crescita delle città non è solo legato all’aumento demografico complessivo. In sostanza, sintetizzo io, che il costruire e l’abitare sono influenzati e governati da una moltitudine di fattori, solo in parte coerenti tra di loro e storicamente determinati. In altre parole che si tratta di un fenomeno governato dal principio della complessità e della non prevedibilità di tutti gli effetti possibili. Proprio qui però, a mio giudizio, l’iniziativa presenta il suo maggiore punto debole. Pretende di “forzare la mano” al fenomeno urbanistico grazie a una norma costituzionale più stringente e/o declamatoria tanto più che questa regola giuridica sarebbe fondata su concetti in realtà indefiniti e interpretabili in molti e estensivi modi. Neppure, in realtà, concetti veri e proprio ma piuttosto auspici, programmi, visioni di futuro. Il risultato, purtroppo, è prevedibile. O il collasso della possibilità di edificare e pianificare in modo virtuoso, quale conseguenza di una norma che genera troppo incertezze. Oppure il collasso della norma stessa, bypassate da una realtà troppo variegata e dinamica per essere appunto soffocata. In sostanza sarebbe la realtà a ribellarsi dalla norma. Pur con tutti i suoi limiti l’attuale legislazione sulla pianificazione territoriale rappresenta, invece già, a mio avviso, un buon punto di equilibrio e di attuabilità in materia edificatoria. Certo, sono necessari altri sforzi e un rinnovamento di quella che chiamiamo la cultura del costruire (o del rinunciare a farlo). Andare oltre vorrebbe dire illudersi di fare un passo avanti senza capire che potrebbe essere pericoloso. La storia ci dice che una sovrabbondanza di limiti favorisce i furbi non l’innovazione e la sostenibilità. È scontato che la tutela del territorio, bene non inesauribile, sta a cuore a tutti, la nuova iniziativa costituisce un rimedio declamatorio e quindi pericoloso per questo voterò NO.
Pubblicato su: Corriere del Ticino – 7 febbraio 2019