È proprio necessario abolire le azioni al portatore?

Ad inizio anno il Consiglio federale ha posto in consultazione un progetto di legge concernente l’attuazione delle raccomandazioni del Forum globale in relazione alla trasparenza delle persone giuridiche e allo scambio di informazioni.

Queste modifiche legislative derivano dalle critiche che il Forum globale ha rivolto alla Svizzera nonostante il nostro Paese avesse ottenuto un giudizio complessivo di «ampiamente conforme » nel luglio 2016. Il nostro Governo federale, preoccupato dell’imminente prossima valutazione da parte di questo organismo internazionale, prevista nella secondo metà del 2018, propone di adeguare la legislazione in vigore con delle modifiche che vanno oltre le richieste internazionali. Ci si può quindi legittimamente chiedere se ancora una volta la Svizzera voglia fungere da « modello » in taluni settori. Se chiaramente gli interessi in gioco, ossia finire su liste grigie o nere, devono essere valutati, non significa ancora che occorre implementare delle misure non richieste o che non si riferiscono a standard internazionali generalmente riconosciuti. Mi riferisco in particolare alla proposta di abolire formalmente le azioni al portatore convertendole obbligatoriamente in azioni nominative entro 18 mesi dall’entrata in vigore della nuova legge.

A questo proposito è utile ricordare che la Svizzera per adeguarsi alle raccomandazioni del GAFI ha introdotto nel Codice delle obbligazioni, a far tempo dal luglio 2015, l’obbligo per le società di tenere un elenco dei titolari della azioni al portatore e degli aventi economicamente diritto, rispettivamente l’obbligo degli azionisti di annunciare l’acquisto di azioni al portatore, pena le decadenza dei diritti patrimoniali. A solo 3 anni dall’entrata in vigore di queste norme il Consiglio federale rivede la sua posizione. Nell’ambito della precedente proposta legislativa, da più parti era stato enfatizzata l’importanza delle azioni al portatore per il tessuto economico svizzero, tanto che le Camere federali, nel 2014, ne avevano rifiutato l’abolizione. Le società hanno compiuto un notevole sforzo nell’identificazione degli azionisti e questa operazione per taluni casi non può essere considerata terminata. Ed ecco che già sopraggiunge una nuova regolamentazione che di fatto annulla gli sforzi di trasparenza finora profusi dalle società e dai loro amministratori. Il progetto del Consiglio federale ha suscitato ampie critiche. La più feroce riguarda il termine troppo breve (18 mesi) per la conversione, che di fatto può comportare una confisca dei diritti economici dell’azionista. Bene ha fatto il Consiglio di Stato (nella sua presa di posizione del 10 aprile scorso) a porre il quesito sulle conseguenze per la società che dovesse ritrovarsi a possedere il 100% delle proprie azioni, a seguito del mancato annuncio del pacchetto azionario.

Con questa proposta mi sembra che il Consiglio federale dimentichi da una parte la tradizionale riservatezza elvetica e dall’altra ometta di considerare adeguatamente altre misure o altre soluzioni che nel panorama internazionale sono tuttora accettate. Mi riferisco in particolare a quanto previsto dagli ordinamenti degli USA e di Singapore che hanno si abolito le azioni al portatore ma non hanno posto l’obbligo di conversioni per quelle esistenti. Un’altra ipotesi sarebbe quella dell’immobilizzo/deposito in vigore per esempio in Germania, Lussemburgo e Liechtenstein.

È dunque auspicabile che il Consiglio federale riformuli la sua proposta tanto più che in questo ambito, a differenza dello scambio automatico d’informazioni di conti finanziari, non è ancora stato identificato uno standard globale identificato. dagli organismi internazionali di riferimento.

Detto altrimenti: prima di decidersi a parlare una nuova lingua potremmo almeno aspettare che sia pronta la grammatica.

Pubblicata su: Corriere del Ticino – 23 maggio 2018